Alzheimer: il mix di esercizi che allena la mente e previene la patologia

26 maggio 2016 Salute e prevenzione
Alzheimer: il mix di esercizi che allena la mente e previene la patologia

Una serie di esercizi per la mente che aiuta gli anziani a conservare la memoria senza usare farmaci: sarebbe efficace anche nel prevenire e ritardare gli effetti di malattie come l’Alzheimer. A metterlo a punto sono stati i ricercatori dell’Irccs Inrca - Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per Anziani, nell’ambito del progetto “My Mind: gli effetti del training cognitivo per anziani”. I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Rejuvenation Research, sono stati presentati mercoledì 25 maggio a Palazzo Sagrini a Fermo.

Lo studio, finanziato nel 2012 dal Ministero della Salute e dalla Regione Marche, ha coinvolto per un periodo di tre anni più di 300 persone over 65 con l’obiettivo di sperimentare l’effetto di un programma di allenamento mentale – ‘training cognitivo’ multidimensionale – sul mantenimento e recupero delle abilità intellettive in tre diversi gruppi di anziani con diverso stato cognitivo. Persone sane, interessate a imparare alcuni metodi per evitare la perdita della memoria, soggetti con lievi disturbi e malati di Alzheimer. “Con l’aumentare dei casi di demenza - spiega Fabrizia Lattanzio, direttore scientifico - la ricerca impone di individuare cure non farmacologiche per prevenire le malattie neurodegenerative. E’ prioritario educare, fin dall’età adulta, ad uno stile di vita fisicamente e mentalmente attivo, anche nello svolgimento delle semplici attività quotidiane”. Il programma infatti include l’apprendimento di tecniche mnemoniche, di concentrazione e di orientamento, oltre a strategie per ricordare eventi e appuntamenti, unite a metodi per utilizzare la scrittura in modo da memorizzare più efficacemente, anche attraverso l'uso di liste, calendari e agende. Fino alla creazione di brevi racconti, che aiutano a fissare i ricordi e migliorano la padronanza del linguaggio. Fanno parte del programma anche alcuni dei passatempi più comuni, come le parole crociate, le carte o il sudoku.

Il training cognitivo - chiarisce Cinzia Giuli, psicologa dell’Unità operativa di geriatria Inrca di Fermo, responsabile del progetto - rappresenta un’innovazione nel campo delle terapie contro le demenze, poiché non ha effetti collaterali o controindicazioni, ed è altamente personalizzabile, con esercizi mirati per il singolo caso”. Dalle prime rilevazioni, al termine delle attività il 70% dei soggetti con Alzheimer ha avuto un significativo miglioramento delle performance e dello stato psicologico, in particolare nella batteria ADAS (Alzheimer’s Disease Assessment Scale), che valuta la gravità della malattia attraverso indicatori quali memoria, linguaggio e orientamento. Risultati promettenti, anche in un’ottica di prevenzione della malattia. “Nei soggetti affetti da lievi disturbi di memoria e concentrazione - una forma pre-clinica di Alzheimer nota come Mild Cognitive Impairment - ha aumentato in circa il 50% dei casi la percezione positiva sulle proprie capacità di memoria, che influisce sulla probabilità di ammalarsi a distanza di qualche anno”. Un dato che sale ben all’81% sui soggetti sani. Effetti positivi sono stati riscontrati anche sull’umore, il livello di stress e il benessere percepito.

Per proseguire l’esercizio anche a casa poi, lungo l’arco delle attività sono state fornite le istruzioni per applicare nella vita quotidiana - ad esempio nello stilare la lista della spesa - gli esercizi eseguiti con gli esperti, in autonomia o con l’aiuto dei familiari. Molti anziani infatti hanno manifestato il desiderio di proseguire le attività anche dopo la fine della sperimentazione.

Un approccio multidisciplinare. Per comprendere più a fondo quali siano gli stili di vita più adatti a mantenere alte le performance cognitive, sono stati studiati alcuni aspetti biologici e psicologici sui biomarcatori, in particolare quelle proteine legate ai processi di apprendimento e memoria. Un’analisi statistica stima che nell’ambito dello studio sono stati raccolti complessivamente ben 480 mila dati.

Fonte: quotidiano sanità

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