Dormire di giorno per stare svegli di notte? Attenzione: accelera lo sviluppo della demenza.

17 aprile 2018 Studi e ricerche
Dormire di giorno per stare svegli di notte? Attenzione: accelera lo sviluppo della demenza.

Schiacciare un pisolino di giorno? Niente di male, purché la causa non risieda nella carenza di sonno notturno. Se infatti la “pennichella” di per sé non dà problemi al nostro cervello, il bisogno di dormire di giorno potrebbe dipendere da una qualità alterata del riposo notturno, fattore già associato al progredire della malattia di Alzheimer.
La conclusione arriva da uno studio appena pubblicato su Jama Neurology da un gruppo di ricerca della Mayo Clinic (Minnesota, USA): soffrire di sonnolenza diurna porta a un più rapido e consistente accumulo di beta amiloide nel cervello, proteina alla base delle omonime placche responsabili della morte delle sinapsi neuronali.

E tutti quegli studi che dimostrerebbero il contrario? È già stato appurato che un paio d’ore di riposo pomeridiano preverrebbero o rallenterebbero l’insorgenza dell’Alzheimer, dato che nel sonno il cervello si ripulisce proprio dagli accumuli di beta amiloide. Ma se, e solo se, il riposo notturno è di qualità e quantità sufficiente.

Lo studio ha seguito per sette anni 283 persone over 70, non affette da demenza: Periodicamente ogni soggetto è stato sottoposto a questionari in merito ad abitudini e qualità del sonno, contestualmente a esami diagnostici e test neurologici ripetuti nel tempo.

Coloro che hanno manifestato sonnolenza diurna, pari al 22% del campione, hanno riportato anche un accumulo maggiore e più rapido di placche amiloidi nel corso degli anni.

In più, i test hanno messo in evidenza un maggior accumulo nelle due aree del cervello normalmente colpite in presenza di Alzheimer: la corteccia cingolata anteriore e posteriore.

Si tratta di dati importanti, soprattutto se si pensa alle conclusioni già frutto di studi su sonno e Alzheimer. Coloro che si svegliano spesso durante la notte e al risveglio sono stanchi come se non avessero dormito sono, già da tempo, indicati come soggetti ad alto rischio per lo sviluppo della malattia; infatti, le persone affette dal morbo registrano una cattiva qualità del sonno. Resta solo da capire se sia “nato prima l’uovo o la gallina”, ossia se siano le placche amiloidi a rendere difficoltoso dormire o se, viceversa, dormire male e poco possa portare alla loro formazione.

Pur essendo una malattia le cui cause non sono ancora chiare, i medici concordano che, al netto di possibili componenti genetiche, uno stile di vita (e soprattutto del sonno) irregolare abbia un peso importante nell’insorgenza e nel progresso della perdita di memoria.

Questo studio risulta dunque importante per completare il quadro esistente del rapporto sonno-demenza. Soprattutto perché, considerato che le placche amiloidi compaiono decenni prima dei sintomi di declino cognitivo, intervenire per tempo su chi soffre di disturbi del sonno potrebbe davvero fare la differenza nel lungo periodo.

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