Oltre 200.000 persone in Italia ne sono affette e il numero è destinato a crescere: la malattia di Parkinson continua a colpire, soprattutto con il costante e progressivo allungamento delle aspettative di vita.
Patologia neurodegenerativa caratterizzata da un disturbo progressivo e cronico riguardante il controllo dei movimenti e dell'equilibrio, il Parkinson è insieme all'Alzheimer una delle più importanti sfide per la neurologia. La malattia causa una perdita costante di un gruppo di neuroni adibiti alla produzione di dopamina, neurotrasmettitore coinvolto nella programmazione ed esecuzione di compiti motori. Il deficit di dopamina innesca una serie di meccanismi compensatori, che finiscono per produrre nei pazienti movimenti rallentati e il caratteristico tremore. Ciò che ne risente maggiormente è il timing del movimento, ossia la pianificazione di un certo compito motorio nell'arco di un periodo di tempo ben definito, come il battito delle mani per scandire il tempo di una canzone: i pazienti affetti da Parkinson vedono ridursi giorno dopo giorno questa abilità.
Un recente studio dell'Università dell'Iowa, attraverso sperimentazioni condotte in laboratorio su modelli animali, ha riscontrato che in corrispondenza di una scarsa produzione di dopamina si presentavano gli stessi sintomi dei malati di Parkinson. Inoltre, attraverso la registrazione dell'attività cerebrale, è emerso che il ritmo delle onde delta (quelle più lente) era assente nella corteccia frontale durante l'esecuzione di un compito di timing.
Successivamente, sulla rivista Current Biology, un nuovo studio ha messo in luce che la stimolazione dei neuroni ad una determinata frequenza è in grado di ripristinare il normale ritmo cerebrale, almeno nei topi. Già ampiamente utilizzata per il trattamento dei sintomi motori del Parkinson, la stimolazione cerebrale viene in questo caso utilizzata per fronteggiare deficit di natura cognitiva. Riuscire a riprodurre questi stessi risultati sull'uomo significherebbe aprire la strada a nuovi approcci terapeutici per il trattamento di una serie di patologie che causano deterioramento cognitivo, ma anche di disturbi riconducibili ad una produzione anomala di dopamina, proprio come il Parkinson.
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