Residenze per anziani: chi deve pagare, che cosa e quanto.

4 gennaio 2016 Attualità
Residenze per anziani: chi deve pagare, che cosa e quanto.

Le cure mediche e infermieristiche sono coperte, non gli altri supporti. Capita che il comune voglia rivalersi sull’abitazione di proprietà del ricoverato. Gli impegni sottoscritti da parenti per la retta non sanitaria devono ritenersi nulli.

La figlia di una signora ricoverata in una Rsa in provincia di Roma racconta: «Mi hanno chiesto 58,70 euro al giorno per la retta alberghiera, invece dei 21,70 che pagavo l’anno scorso, e con effetto retroattivo a partire da gennaio, da quando è entrato in vigore il nuovo Isee (Indicatore della situazione economica equivalente, ndr). Hanno calcolato come reddito l’indennità di accompagnamento e l’assegno di invalidità civile di mia madre, così ho superato il tetto per avere il contributo del Comune e ora dovrei pagare circa 1.800 euro al mese. E io proprio non li ho. Quando mi sono rivolta al Comune, mi hanno detto: “Se non ha i soldi per pagare la retta, venda la casa”. Peccato che ci abiti mio fratello disabile. Allora, tramite avvocato ho chiesto all’Inps di rettificare il mio Isee, ma non ho avuto risposta». Non è una voce isolata, ma la testimonianza di un disagio che molte famiglie stanno vivendo. Cerchiamo di capire, allora, che cosa sta accadendo.

Le spese “alberghiere”
Cominciamo col dire che le spese delle prestazioni propriamente sanitarie fornite nelle Rsa sono rimborsate alla struttura dal Servizio sanitario. Le spese che esulano dalle prestazioni mediche e infermieristiche, come per esempio il vitto, la pulizia dei locali, il servizio di lavanderia, definite retta “alberghiera”, sono coperte - salvo casi particolari che vedremo più avanti - dagli assistiti con il loro reddito o, in quote variabili, dal Comune, se l’assistito è in condizioni economiche svantaggiate.

Il nuovo Isee discusso
I Comuni, in base alle loro disponibilità economiche, stabiliscono gli importi a proprio carico e quelli dovuti dall’assistito utilizzando l’indicatore Isee. Ora, però, il “nuovo Isee” conteggia come reddito dell’assistito anche la pensione di invalidità, l’indennità di accompagnamento o perfino la prima casa (in base alla rendita catastale). E così, da un anno all’altro, molti assistiti si sono trovati costretti a pagare la quota intera - o comunque rincarata - della retta “alberghiera”. Eppure, a febbraio, il Tar del Lazio ha accolto, in parte, un ricorso collettivo presentato dai familiari degli assistiti e ha dichiarato illegittimo il computo di provvidenze come pensioni di invalidità e indennità di accompagnamento: secondo i giudici, infatti, non costituiscono “reddito”, ma «emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio» di condizioni di svantaggio, anche economico. «Le sentenze del Tar del Lazio sono immediatamente esecutive su tutto il territorio nazionale e vanno rispettate, — ricorda una delle promotrici del ricorso collettivo, Maria Simona Bellini, presidente del Coordinamento nazionale dei familiari di disabili gravi e gravissimi — però il Governo ha presentato appello al Consiglio di Stato, che si esprimerà nel merito della questione il prossimo 3 dicembre, data simbolica, in quanto è la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità».

In pericolo perfino la casa
La vicepresidente dell’associazione Confconsumatori, Francesca Arnaboldi, conferma i problemi delle famiglie: «Ai nostri sportelli alcuni parenti di ricoverati in Rsa, in difficoltà col pagamento della retta, ci hanno segnalato che il Comune vuole rivalersi sulla casa di proprietà del loro congiunto. Il ricovero nella struttura, però, non è definitivo e l’assistito potrebbe tornare a casa, o nell’abitazione vive il coniuge».

Le richieste ai parenti
«Continuiamo, inoltre, a ricevere segnalazioni di familiari costretti a sottoscrivere una “promessa di pagamento”, al momento del ricovero del congiunto» aggiunge Arnaboldi. Come comportarsi, allora, in questi casi? «Nel caso siano ricoverati in Rsa ultrasessantacinquenni non autosufficienti o persone con disabilità gravi, i figli e i nipoti non sono tenuti al pagamento delle rette, perché si deve fare riferimento solo ed esclusivamente alla situazione economica del ricoverato — chiarisce l’avvocato Giovanni Franchi, consulente legale di Confconsumatori Parma —. Lo si deduce dalla legge 328/2000 che rimanda alle disposizioni previste da due decreti legislativi (n. 109/1998 e n. 130/2000). In questi casi, quindi, spetta solo all’assistito, se è in grado, pagare la retta e i Comuni non possono rivalersi sui cosiddetti “obbligati per legge”, ovvero i parenti fino al quarto grado (tenuti, invece, a provvedere agli alimenti per il congiunto indigente, ndr)». Fin qui le norme, ma la realtà è diversa.

Una pretesa ingiustificata
«Spesso Rsa e Comuni fanno sottoscrivere ai familiari dell’assistito un impegno di pagamento, col ricatto che altrimenti non sarebbe possibile il ricovero dell’anziano — racconta l’avvocato Franchi —. E i parenti firmano e pagano. Ma, quando l’anziano (o il disabile grave) non ha mezzi, la retta è a carico del Comune di appartenenza. E in base a una sentenza della Corte di Cassazione (n. 26863/08) i parenti possono inviare una formale disdetta e smettere di pagare la retta». Gli invalidi al 100 per cento Ma c’è anche un altro caso in cui non può essere chiesto alcunché da Rsa e Comuni. «Se l’anziano è invalido al 100%, nulla è dovuto, né da lui, né dai familiari — afferma l’avvocato Franchi —. Lo si deduce da una sentenza del Tribunale di Verona del 2013 sul caso di una signora ultrasessantacinquenne invalida al 100%: secondo i giudici, gli impegni di pagamento fatti sottoscrivere al parente del ricoverato per la retta alberghiera devono ritenersi, in casi come questo, nulli fin dall’inizio, e può essere richiesta al Comune la restituzione di ciò che è stato pagato. Neppure l’anziano deve pagare e può chiedere la restituzione di quanto versato».

I malati di Alzheimer
Anche i malati di Alzheimer e i loro parenti non devono versare alcuna retta alle Rsa. Lo ha stabilito una Sentenza della Cassazione (numero 4558 del 2012) «La Corte — spiega Franchi — ha ribadito che nell’Alzheimer non sono scindibili le attività socio-assistenziali da quelle sanitarie, per cui si tratta “di prestazioni totalmente a carico del Servizio Sanitario».

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