L’invecchiamento cognitivo segue un percorso preciso. Non rientrare in questo schema potrebbe indicare un più specifico caso di demenza precoce. Questa conclusione arriva grazie a uno studio pubblicato sul Canadian Medical Association Journal, dove vengono presentate le protagoniste di questo modello: le curve cognitive. I pazienti vengono sottoposti ad un test di screening chiamato Mini Mental State Examination (MMSE), il cui punteggio è chiamato QuoCo (quoziente cognitivo). Grazie al nuovo modello, che tiene conto dell’età e dell’istruzione del paziente, è possibile seguire il declino cognitivo nel tempo e identificare eventuali anomalie. La strategia è simile a quella adottata in campo pediatrico tramite l’utilizzo di tabelle di crescita, basate proprio su modelli predittivi.
La ricerca, basata su dati rilevati da un campione di quasi 8000 pazienti di età pari o maggiore a 65 anni, ne prende in esame i dati su salute e invecchiamento rendendo possibile precisare una definizione di “normale” trend d’invecchiamento. I valori sono stati raccolti nuovamente dopo 5 e 10 anni, così da rilevare i cambiamenti cognitivi a distanza di tempo e definire gli estremi del modello. Grazie a questo studio è stato possibile, con una sensibilità dell’80% e una specificità dell’89%, distinguere i pazienti sani da quelli affetti da demenza, trovando anche un’ulteriore convalida in una ricerca del Centro di coordinamento nazionale Alzheimer canadese, comprendente 6501 persone.
Secondo i ricercatori il Cognitive Outient è: “uno strumento semplice e di facile utilizzo che consente a tutti i medici di monitorare le prestazioni dei loro pazienti sulle funzioni cognitive nel tempo”. L’obiettivo è predisporre l’adozione del QuoCo da parte di tutti i medici di famiglia e specialisti in demenza nella prativa clinica quotidiana.
Attualmente, anche se molti medici hanno già adottato l’MMSE per esaminare i loro pazienti più anziani affetti da deterioramento cognitivo, per molti non è ancora ben chiaro quale sia il modo migliore per interpretare i punteggi. Secondo un autore dello studio, Robert Laforce Jr. dell’Université Laval in Quebec, infatti: “Spesso i medici decidono di effettuare il test anche se non sanno veramente quale sia il suo reale valore” ma resta comunque evidente che “essere in grado di proteggere precocemente questi pazienti, quando stanno iniziando a ‘cadere fuori dalla curva’, permette di intervenire e di ottenere un impatto importante”.
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