Stimolazione elettrica: la tecnica che potrebbe salvare la memoria
Memoria da lavoro: così è definita la capacità cerebrale di immagazzinare per una quantità di tempo limitata una serie di informazioni per, poi, “lasciarle andare”. Ad esempio, piccole sequenze numeriche, come i numeri di telefono. A immaginarla, si potrebbe descrivere come una scatola che, di continuo, viene riempita e poi svuotata di dati.
Questa capacità cerebrale diventa meno efficiente con il passare degli anni ma, secondo un recente studio pubblicato su Natural Neuroscience, sarebbe possibile recuperarne una parte, grazie alla stimolazione elettrica.
Sono state 84 le persone coinvolte nella ricerca, di due fasce d’età contrapposte: un 50% tra i 20 e i 29 anni, l'altra metà fra i 60 e i 76 anni. La ricerca è partita da un presupposto: di fondamentale importanza sarebbero i meccanismi di connessione tra le diverse aree del cervello, dal punto di vista sia anatomico sia funzionale.
Alla base di questo processo di comunicazione e sincronizzazione fra aree prefrontali e temporali, ci sarebbero due particolari tipologie di onde cerebrali, chiamate theta e gamma. Se nel campione giovane, per il quale la memoria di lavoro risulta funzionante, la sincronizzazione risulta efficiente, la ricerca è andata in cerca di eventuali anomalie nei soggetti over 60. Nel campione anziano, effettivamente, è stata riscontrata una mancata connessione tra le due aree e un mancato coordinamento delle stesse.
Dunque, lo studio è proseguito nella sperimentazione di strategie correttive: le aree cerebrali coinvolte sono state sottoposte a stimolazione transcranica (non invasiva), con l’obiettivo di portare a una risincronizzazione delle attività nervose. Dunque, i ricercatori dell’Università di Boston Reinhart e Nguyen, a capo dello studio, hanno misurato il successivo livello di memoria da lavoro, prendendo a indicatore la capacità di ricordare alcuni aspetti di una serie di immagini a loro mostrate. I risultati sono stati sorprendenti: una volta sottoposti alla stimolazione elettrica, i pazienti del campione anziano mostravano una memoria più performante rispetto alla situazione precedente. Il miglioramento relativo ad ogni partecipante è stato tale da rendere le nuove performance paragonabili a quelle del gruppo più giovane. A livello più profondo, sono aumentate la sincronizzazione dell’attività tra aree temporali e prefrontali e la relativa capacità di interazione. Il miglioramento rilevato ha avuto fino a un’ora di durata.
Lo studio è stato condotto su soggetti sani. Come ricordato anche dai ricercatori, è il primo e immancabile passaggio, in prospettiva di un possibile trattamento di pazienti affetti da patologie neurologiche, per i quali saranno necessarie ulteriori ricerche dedicate. Inoltre, occorrerà determinare eventuali estensioni ad altre funzioni cognitive di questo tipo di intervento, insieme ad eventuali effetti collaterali e all’efficacia sui deficit cognitivi.