Alzheimer, cause, sintomi, diagnosi e cure. Quello che occorre sapere

1 ottobre 2019 Salute e prevenzione
Alzheimer, cause, sintomi, diagnosi e cure. Quello che occorre sapere

La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa. La malattia in Italia colpisce circa 700 mila persone e rappresenta un costo di 11 miliardi di euro per l’assistenza, di cui il 73% è a carico delle famiglie. Le cause del morbo di Alzheimer sono ancora in gran parte sconosciute. Oggi non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenere i sintomi. Il 21 settembre si celebra la giornata mondiale contro l’Alzheimer: ecco quello che occorre sapere sulla malattia con la consulenza del professor Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana di Psicogeriatria.

CHE COS'E'?
La demenza si Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre normali attività quotidiane. Il morbo di Alzheimer ha spesso un esordio subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose fino al punto in cui arrivano a non riconoscere più nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche nelle attività più semplici.

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I DATI
I numeri dell’Alzheimer e delle demenze in generale sono davvero poco confortanti. Il continuo aumento della patologia è legato all’allungamento della vita a livello globale. La malattia colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni. Si stima che a livello mondiale ci siano 46,8 milioni di persone affette da una forma di demenza (in Italia oltre un milione e 200 mila) e i numeri parlano di 10milioni di nuovi soggetti interessati ogni anno: uno ogni tre secondi. Le cifre sono destinate quasi a raddoppiare ogni 20 anni, fino a raggiungere 74,7 milioni nel 2030 e 131 milioni nel 2050. Il costo globale della demenza è destinato a raggiungere i 1000 miliardi di dollari nel 2018 e il 58% di persone con demenza vive attualmente in Paesi con reddito medio basso (fonte: World Alzheimer Report 2015). Per quanto riguarda invece solo la malattia di Alzheimer, secondo gli ultimi dati Censis 2016, gli italiani che soffrono di questo tipo di demenza sono sempre di più: 600 mila rispetto ai 520 mila del 2006. E a crescere è anche l’età media, pari oggi 78,8 anni rispetto ai 77,8 anni del 2006.

LA STORIA
La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, psichiatra e neuropatologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. All’esame autoptico il medico notò segni particolari nel tessuto cerebrale di una donna, Auguste Deter, che era morta in seguito a una strana malattia mentale. Tra i suoi sintomi c’erano perdite di memoria, problemi di linguaggio e imprevedibilità nel comportamento. Il neuropatologo evidenziò nel cervello della paziente la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi, e di fasce di fibre aggrovigliate (oggi definite «gomitoli» neurofibrillari) 

LE CARATTERISTICHE BIOLOGICHE
Il morbo di Alzheimer è caratterizzato dalla presenza di pacche e «gomitoli» neurofibrillari all’interno del cervello e dalla perdita di connessioni tra le cellule nervose del cervello (i neuroni), principalmente attribuita alla proteina beta-amiloide che si deposita sui neuroni. La malattia è accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello (un neurotrasmettitore fondamentale per la comunicazione tra neuroni, quindi per la memoria e per ogni facoltà intellettiva). In seguito a queste modificazioni cerebrali è impossibile per il neurone trasmettere gli impulsi nervosi e il cervello si atrofizza progressivamente.

I SINTOMI
Esplora il significato del termine: Il decorso della malattia è lento e in media i pazienti possono vivere fino a 8-10 anni dopo la diagnosi della malattia. La demenza di Alzheimer si manifesta con lievi problemi di memoria, fino a concludersi con grossi danni ai tessuti cerebrali, ma la rapidità con cui si acutizzano i sintomi varia da persona a persona. Nel corso della malattia i deficit cognitivi si acuiscono e possono portare il paziente a gravi perdite di memoria, a porre più volte le stesse domande, a perdersi in luoghi familiari, all’incapacità di seguire delle indicazioni precise, ad essere disorientati sul tempo, sulle persone e sui luoghi, a trascurare la propria alimentazione e la propria igiene. Il decorso della malattia è lento e in media i pazienti possono vivere fino a 8-10 anni dopo la diagnosi della malattia. La demenza di Alzheimer si manifesta con lievi problemi di memoria, fino a concludersi con grossi danni ai tessuti cerebrali, ma la rapidità con cui si acutizzano i sintomi varia da persona a persona. Nel corso della malattia i deficit cognitivi si acuiscono e possono portare il paziente a gravi perdite di memoria, a porre più volte le stesse domande, a perdersi in luoghi familiari, all’incapacità di seguire delle indicazioni precise, ad essere disorientati sul tempo, sulle persone e sui luoghi, a trascurare la propria alimentazione e la propria igiene.

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LE CAUSE
A oggi non si conoscono con esattezza quali siano le cause del morbo di Alzheimer, ma si sa che i danni al cervello cominciano a comparire anni prima che i sintomi diventino evidenti nel comportamento. I gomitoli neurofibrillari iniziano a svilupparsi in una zona molto profonda del cervello (la corteccia entorinale). Con la formazione delle placche e dei «gomitoli» i neuroni sani iniziano a perdere efficienza, cominciano a non funzionare più, a non comunicare e infine muoiono. Probabilmente le cause di questa complessa catena di eventi che avvengono nel cervello sono legate a fattori di ordine genetico, ambientale e riguardanti lo stile di vita.

LA DIAGNOSI
L’unico modo per fare una diagnosi certa di demenza da Alzheimer è attraverso l’identificazione di placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile in modo definitivo solo con l’autopsia dopo la morte del paziente. Oggi i medici hanno comunque la possibilità di osservare le placche tramite l’imaging del cervello di persone vive e a loro disposizione hanno diversi metodi e strumenti per determinare con sufficiente accuratezza se una persona con problemi di memoria è affetta da Alzheimer possibile (quando i sintomi potrebbero essere anche dovuti a un’altra causa) oppure probabile (quando non di riesce a individuare nessun’altra causa per i sintomi). Il tempo medio con cui si arriva a una diagnosi è circa due anni.

Per diagnosticare il morbo di Alzheimer i medici si avvalgono di:

  • Esami clinici come quello del sangue, delle urine o del liquido spinale.
  • Test neuropsicologici per misurare la memoria, la capacità di risolvere problemi, il grado di attenzione, la capacità di contare e di dialogare.
  • Tac cerebrali per identificare ogni possibile segno di anormalità

FATTORI DI RISCHIO
Non sono ancora chiari i motivi perché alcune persone sviluppano il morbo di Alzheimer. Razza, professione, posizione geografica, livello socio-economico non sono fattori determinanti. I ricercatori hanno individuato alcuni fattori di rischio.
Età: la maggior parte delle persone cui è stato diagnosticato il morbo di Alzheimer ha più di 65 anni. La malattia è rara nelle persone più giovani ma è è spesso mal diagnosticata.
Genetica: I ricercatori hanno identificato diverse varianti geniche che aumentano la probabilità di sviluppare il morbo di Alzheimer. Il gene APOE-e4 (che si trova nel cromosoma 19) è il gene a rischio più comune associato con l’Alzheimer . Questo gene non è la causa della malattia, ma aumenta la probabilità che si sviluppi. Soltanto nel 50% dei malati di Alzheimer si trova il gene APOE-e4, ma non tutti coloro che hanno questa proteina presentano la malattia.
Ereditarietà: la malattia di Alzheimer non è normalmente ereditaria. La causa non è quindi da ricercare nel proprio patrimonio genetico. Avere nella propria famiglia alcuni malati di Alzheimer non significa essere destinati ad ammalarsi perché nella maggioranza dei casi non vi è un’origine genetica . Dal momento che è una malattia diffusa tra gli anziani non è però infrequente che possa colpire più persona della stessa famiglia.
Traumi cranici: Ci sono studi da dove è emerso che una persona che ha ricevuto un violento colpo alla testa può essere a rischio di ammalarsi di Alzheimer. Il rischio è maggiore se al momento del colpo la persona ha più di 50 anni, ha il gene specifico APOE-e4 e ha perso conoscenza subito dopo il colpo.

TERAPIE
Oggi non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenere i sintomi. Per alcuni pazienti, in cui la malattia è in uno stadio lieve o moderato farmaci come donepezil, rivastigmina e galantamina possono aiutare a limitare l’aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi. Questi principi attivi funzionano come inibitori dell’acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l’acetilcolina, il neurotrasmettitore carente nel cervello dei malati di Alzheimer. Questi farmaci possono contribuire a salvaguardare il pensiero, la memoria e l’abilità nel linguaggio ma non modificano il decorso della malattia e sono utili solo per un periodo che va da alcuni mesi ad alcuni anni. Altri farmaci possono aiutare nella gestione dei sintomi comportamentali come insonnia, depressione, aggressività, vagabondaggio, ansia, agitazione.

LA RICERCA
La ricerca di nuovi farmaci per curare la demenza da Alzheimer è in grande sviluppo e nei laboratori di tutto il mondo si sta lavorando per trovare principi attivi che aiutino a prevenire la malattia e a contrastare i sintomi. Sebbene la ricerca sia in fermento a oggi siamo però ancora lontani dal trovare un farmaco risolutivo. Proprio di recente è stato pubblicato su Nature uno studio sperimentale su una molecola, aducanumab, un anticorpo monoclonale che oltre ad aver ridotto in modo significativo l’accumulo di proteina beta-amiloide nel cervello nei pazienti, avrebbe anche mostrato segni di rallentamento del declino cognitivo. Ma si tratta ancora di un lavoro preliminare sul quale gli stessi autori invitano alla cautela. Un altro farmaco che è stato testato in via sperimentale si chiama ,LMTX, farmaco anti Tau che agisce su uno dei meccanismi che inducono la malattia. Alcuni degli 891 pazienti che lo hanno sperimentato hanno visto deteriorare in modo più lento le loro abilità cognitive. Ma anche in questo i ricercatori non vogliono alimentare false speranze. Altra via della ricerca attiva è quella che punta sullo sviluppo di una risposta immunologica contro la malattia cercando di sviluppare un vaccino in grado di contenere la produzione di beta amiloide.

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