Demenze: 3 casi su 10 evitabili con lo stile di vita

19 febbraio 2019
Demenze: 3 casi su 10 evitabili con lo stile di vita

Demenze: 3 casi su 10 evitabili con lo stile di vita
Nel corso del XII Convegno “Il Contributo dei Centri per i disturbi cognitivi e le Demenze nella gestione integrata dei pazienti”, che si è svolto recentemente all’Istituto Superiore di Sanità, sono stati mostrati i dati aggiornati su prevenzione e demenze.

Ebbene, mettendosi al riparo da 7 fattori di rischio, queste patologie sarebbero evitabili nel 30% dei casi. La stima, effettuata attraverso calcoli epidemiologici, riguarderebbe il Morbo di Alzheimer e la demenza vascolare che, insieme, rappresentano il 70% dei casi di demenza.

A riguardo si esprime Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore della Sanità: “in un contesto globale in cui le demenze sono in aumento con oltre 35 milioni di casi in tutto il mondo, destinati a raddoppiare entro il 2030, e circa un milione di casi nel nostro Paese risulta prioritario agire a livello di prevenzione e promozione della salute.”

Come ricorda Ricciardi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel suo Global Action Plan 2017-25, ha riportato le linee guida d’azione contro le demenze, comprendenti diagnosi, ricerca e gestione integrata. Queste indicazioni vengono poi recepite dalle istituzioni dei singoli paesi. In Italia si configurano nel Piano Nazionale delle Demenze che, tra le tante cose, definisce le best practice da implementare nella pratica clinica corrente del nostro Sistema Sanitario Nazionale.

Dunque, sarebbero sette i fattori di rischio delle demenze relativi allo stile di vita, che si aggiungono alle due macro cause già identificate di queste patologie: la prima è l’età, considerando che l’incidenza è dell’8% dopo i 65 anni e del 20% dopo gli 80; la seconda è il genere, considerando che sono le quelle maggiormente colpite dal morbo di Alzheimer. Visto il contributo importante di questi due fattori non modificabili, va da sé che occorre lavorare sui restanti con apposite campagne di prevenzione. Quali sono ce lo spiega Nicola Vanacore, ricercatore del Centro Nazionale Prevenzione e Promozione della Salute dell’ISS e responsabile scientifico dell’Osservatorio Demenza: - diabete - ipertensione - obesità - inattività fisica - depressione - fumo di sigaretta - basso livello di istruzione

Agire su questi fattori diventa cruciale, considerati i numeri, sempre crescenti, di queste patologie. Le stime messe in evidenza dall’OMS riportano 35,6 milioni di casi nel 2010, che raddoppieranno nel 2030 e triplicheranno nel 2050, con 7,7 milioni di nuove diagnosi all’anno. Si parla quindi di un nuovo malato ogni quattro secondi. Cifre da capogiro che rischiano di mettere in crisi i sistemi sanitari nazionali con costi che si aggirano attorno ai 604 miliardi di dollari l’anno.

In Italia la situazione non è migliore: sarebbero più di un milione i malati di demenza, di cui 600.000 affetti da Alzheimer. A questi si aggiungono 3 milioni di persone coinvolte, più o meno direttamente, nell’assistenza ai parenti malati.

Ecco perché, con tali prospettive, le nuove attività di ricerca e monitoraggio rappresentano una necessità, di cui sempre più istituti stanno iniziando ad occuparsi.

Ad esempio, per la prima volta in Italia, grazie al sistema di sorveglianza PASSI, è stato possibile farsi un’idea della situazione, con un focus sulla loro distribuzione anche a livello regionale.

Sulla linea di partenza troviamo Immidem, il primo progetto di ricerca sull’incidenza delle demenze nelle minoranze etniche, nato con l’obiettivo di identificare i set di biomarker che permettono di prevedere il passaggio diagnostico da Deficit Cognitivo Lieve a morbo di Alzheimer. L’ottica è quella di affrontare al meglio l’incidenza delle patologie in questa parte della popolazione, tenendo conto dei crescenti flussi migratori.

Problemi, invece, sul fronte dei Centri per Deficit Cognitivi e Demenze, servizi deputati alla valutazione, diagnosi e trattamento dei disturbi cognitivi e demenze. Intervistando 501 referenti, è stato rilevato che, rispetto al Nord Italia, nel Sud e nelle Isole viene effettuata la valutazione neuropsicologica completa con una frequenza inferiore al 44% dei casi. Naturalmente è l’accuratezza diagnostica a risentirne, con risvolti estremamente pesanti per pazienti, famiglie e strutture sanitarie.

La speranza, con questi nuovi progetti di monitoraggio, è quella di avere un quadro più chiaro e coerente della situazione dei malati, così da poter offrire risposte concrete ed efficaci agli anziani e alle loro famiglie.

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