Prendersi cura in prima persona dei familiari malati ha un caro prezzo: lo sanno bene i caregiver, coloro che sacrificano in media 10 ore al giorno all’assistenza del caro malato e che finiscono, nell’80% dei casi, per compromettere la propria salute. Lavoro, tempo libero e vita privata passano inevitabilmente in secondo piano di fronte alle esigenze dell’assistito, portando a uno stile di vita pregno di stress, solitudine e frustrazione.
E’ il Censis a delineare questo quadro allarmante, in una ricerca sulla situazione dei caregiver di malati di Parkinson, presentata lo scorso novembre a Roma con il contributo di AbbVie.
Come contrastare queste problematiche? Secondo Jury Chechi, in veste di testimonial della Giornata Nazionale del Parkinson, “bisogna allenare il caregiver a tutto ciò che comporta il prendersi cura di un malato di Parkinson”.
Ma quando parliamo di caregiver, a chi ci riferiamo? Nell’attività di assistenza a pazienti gravi troviamo coinvolte principalmente le donne, che rappresentano il 76,4% del totale, rispetto a un 23,6% di uomini. 59 anni è l’età media (58 anni per le donne e 62 per gli uomini), con distribuzione prevalente al Nord (39,4%) e al Sud (36%), con un Centro Italia in netto distacco (24,6%). I malati di sesso maschile sono supportati principalmente dalle mogli (65,3% dei casi), ma se parliamo di pazienti donne, pur con un aumento relativo dei caregiver uomini rispetto alla media, (42,4%), troviamo ancora una forte prevalenza del sesso femminile che si traduce spesso nel lavoro delle figlie.
La quotidianità dell’assistente segue di pari passo le necessità del paziente. “Prima di tutto devono prendere farmaci in media 6,3 volte al giorno e la gestione della terapia farmacologica rappresenta un problema rilevante, perché l’80,8% dei pazienti ha bisogno di aiuto per ricordarsi di prendere i farmaci negli orari giusti”, spiega Ketty Vaccaro, Responsabile dell’Area Welfare e Salute del Censis. E a scendere una serie di bisogni da soddisfare ogni giorno: per il 42,4% dei pazienti farsi la doccia o il bagno, il 36,5% l’igiene personale, il 38% la vestizione, il 35% l’incontinenza, il 29,1% il movimento e il 22% nel pasto sono attività ormai impossibili da gestire in autonomia.
“Quotidianamente il caregiver dedica al malato di Parkinson in media 8,8 ore della propria giornata per le mansioni di assistenza diretta e 10,2 ore in media per la sorveglianza” prosegue Vaccaro. Questo perché per il 30% dei caregiver non si presenta alcuna forma di supporto alle proprie attività. Per i restanti, l’aiuto di altri familiari (44,3%) e per meno del 30% si presenta l’aiuto di professionisti pagati di tasca propria o pubblica (solo il 2,5%).
Le conseguenze sono tangibili: “il 79% dei caregiver ha risentito in termini di salute dell’impegno per l’assistenza al malato di Parkinson. Il 65% si sente fisicamente stanco e il 13,6% delle donne afferma di soffrire di depressione, rispetto al 2,1% degli uomini”. Al femminile, si riscontrano più di frequente aumenti e perdite di peso (il 13%), malanni (il 12,3% a fronte dell’8,3% degli uomini) e necessità di supporto psicologico (l’8,4%). La mancanza di sonno, invece, compisce prevalentemente il sesso maschile (il 50% contro il 38,3% delle donne).
E la vita professionale non ne resta indenne: sul luogo di lavoro il 37% dei caregiver riporta delle ricadute dell’attività di assistenza al malato (il 41,7% per gli uomini, 35,5% per le donne). Con un 56% che sacrifica il proprio tempo libero, un 31% che lamenta una riduzione delle relazioni di amicizia (a causa delle minori occasioni d’incontro) ed un 26% che riferisce ricadute negative su tutta la famiglia, non ci si stupisce di quell’8,4% che segnala compromissioni nel rapporto di coppia.
Come fare, quindi, per rendere più vivibile una situazione così impattante sull’esistenza del caregiver?
Torna sul punto Jury Chechi: “Mi sento sempre più partecipe di tutto ciò che ruota attorno al mondo del Parkinson avendo una situazione familiare di questo tipo da tanto tempo. Questi dati mi hanno fatto capire quanto è importante concentrarsi anche sul caregiver proprio per far star meglio il paziente. Proprio come un atleta, le persone che devono prendersi cura del parkinsoniano devono allenarsi a svolgere questo compito di assistenza che è molto faticoso sia dal punto di vista fisico che psicologico tant’è vero che spesso proprio il caregiver fa fatica in prima persona ad accettare la malattia e i limiti che impone”. Prendersi cura di chi si prende cura è quindi necessario, per la salute di malato e caregiver. “Per noi è cruciale poter curare il malato ma nel contesto della famiglia che ha un ruolo cruciale e quando non è attivamente presente il problema diventa più grande” secondo Pietro Cortelli, Presidente dell’Accademia Limpe-Dismov. E di progressi nel trattamento della malattia ce ne sono stati. “Le armi che abbiamo a disposizione per curare i pazienti sono maggiori rispetto a qualche anno fa – ha spiegato Alfredo Berardelli, Presidente della Fondazione Limpe. C’è un ventaglio di offerta terapeutica
che spazia dalle prime fasi della malattia a quelle più avanzate. Il nostro obiettivo è quello di far stare sempre meglio il paziente e questo si fa anche dedicando più tempo sia a loro che ai suoi caregiver che hanno bisogno di poterci raccontare le loro esigenze.”
Spartire il tempo dedicato al proprio caro con un professionista può avere ricadute molto importanti sulla vita del caregiver. Affidarsi a sole figure competenti è altrettanto fondamentale. Privatassistenza supporta da oltre 25 anni anziani, malati e disabili in casa e in ospedale con cura e perizia. Scopri i centri specializzati in assistenza malati di Parkinson.